Il Living Theatre: un'eredità anarchica. Le Sette Meditazioni sul Sadomasochismo politico trent'anni dopo a Torino. (28 febbraio/11 marzo 2006)
"La forma di governo che si addice maggiormente all'artista è l'assenza di ogni governo"(Oscar Wilde)
Si sono appena concluse a Torino e in alcune città italiane le giornate seminariali che hanno ricordato, a vent'anni dalla morte di Julian Beck, la straordinaria esperienza di questo gruppo teatrale, che oramai vanta più di mezzo secolo di vita, e già si notano alcuni interessanti esempi di contaminazione. D'altra parte la metafora del teatro che germoglia idee e rivoluzione da piccoli semi sparsi con costanza e determinazione è sempre stato un tema caro agli attori del Living e rimane probabilmente la loro lezione più vera e duratura..
Strano e commovente rivedere oggi questo spettacolo progettato in un contesto storico e politico completamente diverso, quello degli anni Settanta, quando i protagonisti di questo mitico gruppo teatrale americano si dedicavano anima e corpo ad un teatro politico e di ricerca che li aveva portati ad abbandonare i luoghi teatrali convenzionali per raggiungere con i loro spettacoli la gente comune, quella che non si trova in genere nei luoghi teatrali convenzionali: un'esperienza teatrale che avrebbe fatto scuola e che ha lasciato un'eredità inconfondibile e vivace a distanza di anni.
Living Theatre e anarchia Il teatro del Living, negli anni Settanta, era un teatro di “trincea”, dove si respirava l'impressione che “chiedere l'impossibile” fosse non solo ovvio ma dovuto. Erano gli anni successivi all'esperienza-cesura del maggio francese, che aveva ispirato uno dei pezzi più famosi del gruppo: “Paradise, now!”. La loro ricerca, iniziata nella strada, e portata avanti nei ghetti, nelle fabbriche, tocca temi umili e quotidiani che vengono convertiti poi in categorie generali e assolute: il Potere, il Denaro, l'Amore, la Guerra , la Morte, la Proprietà e genera un metodo di lavoro originale, strettamente legato a quei tempi che consisteva sostanzialmente di due fasi: una propriamente informativo/politica e un'altra tendente a comunicare la consapevolezza raggiunta “sensibilizzando”, come si diceva allora, la gente su una realtà scomoda, vista ma non sempre accettata, fatta di violenza e di morte. Le ricette proposte erano semplici e assolutamente cristalline: l'amore come atto volontario e assoluto e il teatro- “cavallo di legno per prendere la città”- che doveva servire per scardinare da dentro le istituzioni, i luoghi comuni, le convenzioni: le mille prigioni quotidiane mal dissimulate. L'obiettivo: la “Bella Rivoluzione Anarchica Non Violenta”, cui doveva seguire una “vita armoniosa e libera mentalmente, fisicamente, sessualmente”. In sostanza alla gente per strada Beck e Malina e i loro compagni cercavano di dire che il denaro non è importante, che si potrebbe anche vivere senza, perché l'esistente sarebbe sufficiente per tutti, che non è il caso di ammazzarsi di lavoro, che è importante anche lo svago; che si potrebbe vivere autogestendo il proprio lavoro e in collaborazione amichevole; che si dovrebbero abolire governo, polizia, eserciti, proprietà, prigioni, e poi consumismo, pubblicità, guerre, nazionalismi, tutte quei valori e quei bisogni, che nascono da una struttura sociale che produce odio e lavori inutili.
La pratica del “teatro di strada” , conclusione coerente e necessaria di un discorso portato avanti con una logica quasi messianica che coinvolgeva in maniera totale il vissuto pubblico e privato, il rapportarsi, come singole persone e come collettivo con l'apparato repressivo con un atteggiamento di sfida palese, ben sapendo che ciò voleva dire subire una reazione violenta e ottusa che si manifestava con boicottaggi burocratici, “pestaggi”, arresti, processi e condanne.
André Reszler in “L'estetica anarchica”, nel 1975, sosteneva che il teatro del Living ha tre obiettivi paralleli: la Rivoluzione attraverso l'arte, la Rivoluzione attraverso l'azione politica diretta e l'Anarchismo in quanto esperienza vissuta. Per il Living il teatro d'azione equivale ad un teatro politicamente pregnante dove si crea una coscienza di classe: un teatro politico in cui la politica della vita viene messa in contrapposizione con la politica della morte.
L'esperienza di teatro politico è fortemente mutuata dall'insegnamento di Erwin Piscator, di cui Judith Malina è stata allieva, ma si affina soprattutto a partire dal 1963, dopo la chiusura per “inagibilità” del locale della Fourteenth Street, dove si tenevano le rappresentazioni del gruppo. Nel 1964 con “Mysteries and smaller pieces” il Living si presenta al pubblico con un testo nuovo rivoluzionario, il primo tentativo di “Teatro libero”, lavoro collettivo e senza regia, lo spettacolo è fortemente caratterizzato da tematiche pacifiste e alcuni membri , che non condividono il taglio dato all'opera, escono dal gruppo. Con il “Frankenstein” si prende in rassegna la storia dell'umanità sotto l'ottca della violenza delle istituzioni. Con “Antigone” e “Paradise, now!” nel 1968 la valenza libertaria diviene una caratteristica inconfondibile del gruppo e un segno distintivo della loro “azione” teatrale”.
La matrice anarchica è presente in maniera frammentaria ed eclettica sin dall'inizio. Promulgatori della “Bella rivoluzione Anarchica Non Violenta” Judith Malina e Julian Beck riprendono le suggestioni solidaristiche e federali di Kropotkin, la dialettica di Proudhon, l'anarchismo pacifista e mistico di Tolstoi rappresentano opere dell'americano Paul Goodman, mischiandole con componenti presenti negli anni Sessanta nei gruppi radicali americani: il misticismo orientale, la filosofia zen, le teorie sulla liberazione dell'energia sessuale di Wilhelm Reich.
I primi contatti con l'anarcosindacalismo sono del 1960, quando alcuni membri del gruppo aderiscono al collettivo dell'IWW. Dopo lunghe discussioni l'intero collettivo decide di aderire ufficialmente all'associazione “wobbly”, impegnandosi come singoli individui nel settore Job Branch, ma sottoscrivendo come gruppo le iniziative politiche dell'associazione. Da questo momento il Living diventa collettivo autogestito e a parere di molti componenti del gruppo l'esperienza e la pratica anarcosindacalista ha rafforzato moltissimo il gruppo dando una forte motivazione politica e la sensazione precisa di essere inseriti in un progetto rivoluzionario globale condiviso.
Le “Sette meditazioni sul sadomasochismo politico” “Le Sette meditazioni sul sadomasochismo politico” nascono in questo contesto e fanno parte di un progetto più vasto, -“l'Eredità di Caino”- un grande ciclo teatrale, concepito come una costellazione formata di centinaia di stelle: “una costellazione che brilla dentro una città o un villaggio” diventandone il suo “doppio” e assumendo, quindi, di volta in volta un volto diverso. I pezzi del ciclo, un centinaio di performances diverse per stile, linguaggio e lunghezza (alcuni duravano pochi minuti, altri diverse ore) vennero rappresentati fra il 1970 e il 1978. Erano spettacoli destinati a quelle persone che non hanno, in genere, l'occasione di andare a teatro per motivi economici e di cultura. L'intento era quello di creare un clima partecipativo che stimolasse la gente stessa a riscoprire e reinventare la propria identità e la propria cultura. La scenografia, come al solito, scarna, essenziale, vengono sfruttati gli elementi esistenti, i corpi stessi diventano oggetti di scena. I colori usati per i costumi, il rosso e il nero, rimandano al simbolismo anarchico.
Il tema, il rapporto che si instaura fra padrone e schiavo, o, più genericamente, fra carnefici e vittime, fra chi comanda e chi subisce: un rapporto basato su una legame di tipo sadomasochistico. L'argomento traeva spunto dal progetto omonimo dello scrittore austriaco Sacher-Masoch: tutti gli uomini sottostanno alla legge della violenza, usata da chi comanda, ma anche accettata, quasi con compiacimento, da chi subisce. Questa violenza si manifesta sotto varie forme: il potere dello stato, il rapporto amoroso, il denaro, la proprietà, la guerra o il militarismo, la cultura della morte. Il padrone, invidiato dallo schiavo, costituisce ai suoi occhi un modello da imitare, un esempio di saggezza, bellezza, perfezione. Alla fine, nella saga di Masoch, il padrone uccide lo schiavo consenziente. Lo scopo, perseguito dallo scrittore austriaco è quello di capire e di svincolarsi da questo tipo di rapporto violento partendo dalla comprensione della componente di amore-odio esistente fra le persone sottoforma di violenza psico- sessuale.
Nella versione elaborata dal Living, “L'eredità di Caino” diventava una sorta di psicodramma dove gli spettatori avrebbero dovuto raggiungere la consapevolezza delle proprie frustrazioni e trovare, quindi, anche se non necessariamente, la capacità di superarle. I pezzi riprendono i temi del ciclo di Masoch, e utilizzano lo stesso schema di intreccio reciproco fra le varie forme di repressione, ma vengono pensati per essere riformulati a seconda delle occasioni, diventando quindi ogni volta una rappresentazione diversa che vuole rispecchiare la realtà contingente. E' il caso di “Oratorio di appoggio a uno sciopero”, rappresentato a Reggio Emilia in favore degli operai di una fabbrica che erano stati licenziati. I pezzi più noti del ciclo, in realtà mai ufficialmente concluso, sono: “Sette meditazioni sul sadomasochismo politico”, “Sei atti pubblici”, “La torre del denaro”, rappresentati, per la prima volta in Italia, alla Biennale di Venezia del 1975. In occasione dell'ultima rappresentazione di “La torre del denaro” a Venezia lo spettacolo si interruppe per qualche minuto, uno degli attori rivolgendosi al pubblico disse: “A Venezia abbiamo trovato persone che hanno detto che il Living è la più brutta cosa che sia stata portata alla Biennale, ma abbiamo anche trovato persone che hanno compreso il nostro lavoro, e persone meravigliose, dei fratelli, che come noi lottano contro lo Stato e lo sfruttamento per una società libera, per l'Anarchia”
Trent'anni dopo Riprendere e non disperdere quell'esperienza oggi è assolutamente importante e ci sono diversi segnali positivi in questo senso che vanno segnalati, ad iniziare dal lavoro testardo e coraggioso di Gary Brackett, che con Cathy Marchand, ha continuato in questi anni a “contaminare” con piccoli semi di consapevolezza livinghiana il panorama teatrale italiano, attivando laboratori per studenti dove si riprendono le tecniche sperimentate da anni nel Living Theatre - tecniche yoga, meditazione zen, biomeccanica - e soprattutto ribadendo la convinzione che il lavoro teatrale è prima di tutto una “creazione collettiva”. Gary che lavora dal 1989 con il collettivo teatrale del Living, ha attivato numerose esperienze teatrali a Bologna, Bari, Roma, New York, Torino, elaborando una sua personale visione del teatro di ricerca dove al tradizionale lavoro sulle tecniche sul corpo, la meditazione e il teatro politico si aggiunge uno spiccato interesse per le potenzialità del computer e delle tecniche video, come si può vedere nel suo sito - www.videoweekly.net - una sorta di giornale-video settimanale su web di politica e cultura., “Chi sono i promotori della cultura contemporanea che dovrebbero dal confuso conflitto tra la vita quotidiana e “spettacolo” quotidiano dare un senso all'apparente insensatezza del mondo? “ si chiede Gary e ancora “dopotutto le vicessitudini del mondo accadono proprio fuori dalle nostre finestre”. Nel video proposto sul sito dal titolo “This week's this” il computer e la TV sono le nostre finestre affacciate su una piazza/teatro virtuale che è quella del web.
Nello spettacolo portato in scena a Torino, la regia di Gary è stato soprattutto un lavoro di ricostruzione filologica dell'opera, pur con le dovute attualizzazioni al contesto storico attuale, oltre a presentarsi come un'operazione rigorosamente didascalica sul metodo di lavoro affinato dal Living che ha saputo far calare i ragazzi esattamente in quella dimensione e in quell'atmosfera. Non va dimenticato che il pezzo sulle “Sette meditazioni” , introduzione all'”eredità di Caino”, era stato progettato per studenti e persone interessate alla disciplina della meditazione e aveva come fine quello di unificare le menti ad un livello energetico più alto, collettivo.
Ho chiesto ai giovani attori se non trovassero datato il pezzo e come si ponevano rispetto ai richiami ricorrenti e sottolineati alla lotta di classe, oggi argomento piuttosto rimosso e desueto, agli scritti di Malatesta, e agli ideali anarchici, e mi hanno risposto che ne avevano discusso fra di loro e che avevavo trovato sorprendentemente attuale l'opera, proprio perché i temi affrontati nelle meditazioni sono purtroppo assolutamente vere oggi come allora: la violenza è una pratica subdola e diffusa, le guerre continuano a devastare il mondo, il potere del denaro regola la vita del pianeta e la domanda finale “che cosa possiamo fare per cambiare?” rimane, ahimé, di splendida attualità.
Lo spettacolo è stato portato in diversi luoghi pubblici, a Pinerolo, in Val di Susa, nei Centri sociali del Barocchio e dell'Asilo Occupato, all'Espace di Via Mantova, ed ovunque l'accoglienza è stata calorosissima. In particolare in Val Susa, dove le recenti vicende NOTAV, vissute in maniera collettiva e partecipata da tutta la popolazione valsusina, hanno sicuramente avuto buon gioco nel crare un clima positivo e caloroso.
Ricordiamo che, a margine di questa esperienza, è stato aperto un blog -http://cosapossiamofare.blogspot.com - che ha lo scopo di continuare ed allargare il dibattito alla virtuale comunità web. Mai come oggi, il Living, che ha attraversato più di mezzo secolo della nostra storia e della nostra vita politica, ci appare come un oggetto teatrale necessario e prezioso, proiettato in una dimensione ancora tutta da inventare e scoprire.
Torino, 19 marzo 2006
Carla Pagliero